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Analisi a cura del Dott. Stefano De Carli (leggi articolo pubblicato su Punto F in PDF – La detraibilità delle mascherine)

Difficile pensare come un oggetto di così scarso valore economico ed al contempo di così semplice realizzo come la mascherina protettiva abbia potuto portare, in tempi di coronarivus,  tante problematiche alle farmacie: dall’ iniziale irreperibilità si è passati a verbali per vendita di prodotti non certificati, alle accuse di accaparramento o speculazione, alle denunce per vendita di prodotti sconfezionati, per terminare all’ attuale (riferita al tempo in cui viene redatto l’ articolo) fase di posizione più permissiva con emanazione da parte delle autorità regionali di protocolli di “buon sconfezionamento”, o di ordinanze a valenza nazionale per la loro vendita al dettaglio, a proposte di imposizione di ricarichi di vendita o di abbassamento delle aliquote IVA.

Anche sul fronte fiscale non sono mancate le imprecisioni  soprattutto sul fronte della detraibilità della spesa da parte del consumatore che comprensibilmente  è portato a considerare il costo sostenuto assimilabile a qualsiasi altra spesa  avente carattere sanitario e come tale inseribile come onere nella propria dichiarazione dei redditi con l’ usuale certificazione dell’ “ex” scontrino.

In realtà le cose non stanno proprio così ed anche in questo campo non mancano le complicazioni, come vedremo di seguito.

Per una disanima della situazione  occorre  anzitutto partire dalla classificazione dei diversi tipi di mascherine:

Quelle di tipo FFP2 e FFP3 con o senza valvola, i  cosiddetti “facciali filtranti” , certificati a norma del D.Lgs 475/1992, sono considerati “DPI” cioè dispositivi di protezione individuale, articoli non con funzione esclusivamente sanitaria  ma protettiva, tant’ è che sono utilizzate ad esempio anche nei cantieri edili. I DPI, al di là o meno della certificazione di buona fabbricazione che possono ottenere,  non rientrano nell’ elenco delle “spese sanitarie” considerate dall’ Agenzia delle Entrate come oneri detraibili dall’ imposta sul reddito delle persone fisiche a norma dell’ art.15 del T.U.I.D. Con la conseguenza paradossale che, a meno di una  auspicabile specifica e diversa presa di posizione dell’ Agenzia delle Entrate che tenga conto dell’ uso attualmente del tutto equiparabile a quello dei dispositivi medici a motivo della straordinarietà della situazione sanitaria, tale tipologia di prodotti non risulta detraibile dalla clientela privata, nonostante l’ ottima capacità filtrante. Diversamente tali  prodotti saranno senz’ altro deducibili come spese di gestione di aziende o professionisti, prevalentemente col supporto della fattura, in quanto è innegabile la loro inerenza in considerazione degli obblighi imposti in tema di protezione sanitaria dai vari decreti in funzione anti covid19.

Al contrario, le mascherine cosiddette “chirurgiche”, cioè quelle “ a fascia” rientrano nell’ambito dei “dispositivi medici”, i quali sono espressamente considerati tra le tipologie di spese detraibili dal contribuente privato. Si ricorda che, per “dispositivo medico”, si intende, secondo quanto espresso dall’ articolo 1 del D.lgs. 24 febbraio 1997, n.46 : “qualsiasi  strumento, apparecchio, impianto, sostanza od altro prodotto, utilizzato da solo od in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell’ uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell’ anatomia di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l’ azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi”

Peraltro, le “chirurgiche” sono di gran lunga quelle che interessano maggiormente la popolazione e di conseguenza le farmacie.

In riferimento alla loro detraibilità occorre fare una spocchiosa differenziazione che nell’ attuale clima di guerra sanitaria diventa persino grottesca:

  • i prodotti in possesso della marchiatura CE (che non deve necessariamente essere presente sul singolo pezzo, è sufficiente sulla confezione) sono detraibili da parte della clientela (ed è concesso anche il pagamento in contanti), secondo quanto richiesto dalla circolare dell’ Agenzia delle Entrate n. 20/E del 13 maggio 2011 a fronte dell’ emissione di un documento commerciale “parlante” (o con fattura) che porti la descrizione integrale del prodotto e non il suo codice identificativo (con buona pace della normativa sulla privacy…).Vengono peraltro imposti ulteriori adempimenti.
  • La circolare citata richiede anche la conservazione da parte dell’ utilizzatore della documentazione che il prodotto acquistato possieda la marcatura CE ma solo se  rientra in un elenco allegato alla stessa di dispositivi ad uso più comune. Tale elenco non comprende le mascherine, per cui per queste ultime occorre attestare ulteriormente la conformità dell’ articolo acquistato alle direttive europee 93/42/CEE, 90/385/CEE e 98/79/CE. Per permettere una più agevole documentazione alla propria clientela ed evitare quindi l’ assurdità della conservazione delle confezioni, in alternativa il farmacista (circolare 1 giugno 2012 n. 19 dell’ A.d.E.) “può (si tratta quindi di una facoltà e non di un obbligo)  assumere in sé l’ onere di individuare  i prodotti che danno origine alla detrazione” riportando sul documento commerciale ( o sulla fattura)  la dicitura “prodotto con marcatura CE”.È questa la situazione in cui si trovano normalmente le farmacie italiane i cui software gestionali portano in automatico solo tale dicitura nella presunzione che il prodotto venga ricompreso nell’ elenco mentre d’ altra parte raramente danno la possibilità di fare integrazioni quale quella della direttiva comunitaria di riferimento.Si ritiene tuttavia che essendo l’ elenco allegato alla circolare 20 riferito a dispositivi medici di maggior uso comune nel 2011, non si possa non tenere conto che nella situazione attuale le mascherine chirurgiche sarebbero  senza dubbio da ricomprendersi, per cui il buon senso porta a ritenere  che possa essere sufficiente la dicitura priva di riferimenti alla conformità delle direttive CEE,  limitandosi quindi il documento commerciale a riportare l’ usuale dichiarazione. Sul punto sarebbe tuttavia auspicabile un pronunciamento dell’ Agenzia delle Entrate.
  • In alternativa a quanto sopra, la circolare dell’ A.d.E. 13/E del 31 maggio 2019, prevede che l’ identificazione della natura del prodotto sul documento commerciale o sulla fattura come dispositivo medico venga effettuato mediante la codifica AD (spese relative all’acquisto o affitto di dispositivi medici con marcatura CE) utilizzata ai fini della trasmissione dei dati al sistema tessera sanitaria (senza quindi alcuna altra specifica dicitura). È certamente questa la soluzione più semplice e lineare ma prevede un collegamento funzionale che i programmi gestionali raramente sono oggi in grado di fornire.
  • Più incerta risulta la situazione per i prodotti privi di marcatura CE, la cui messa in commercio è consentita subordinatamente alla procedura semplificata di cui all’ articolo 15 del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18.

Premesso preliminarmente che è assolutamente consigliabile a tutte le farmacie richiedere dai fornitori che producono o importano tali mascherine copia della pratica all’ ISS con l’ ottenimento della concessione (ciò vale ovviamente anche per i DPI per la coeva pratica all’ INAIL) per evitare di farsi contestare una immissione in commercio di prodotti non regolari, sembra a chi scrive che, nonostante tali mascherine non possano essere considerate formalmente dispositivi medici agevolabili fiscalmente in quanto privi della marchiatura CE, in considerazione di quanto contenuto nel richiamato articolo 15 che consente di “produrre, importare  e  immettere  in  commercio   mascherine   chirurgiche   e dispositivi  di  protezione  individuale  in  deroga   alle   vigenti disposizioni” , tali prodotti, sempre che sia stata esplicata ed ottenuta la concessione da parte dell’ ISS, non possano che essere del tutto equiparati alle mascherine con dicitura CE, essendone comunque stata vagliata l’ efficacia dall’ Istituto Superiore di Sanità.  E quindi detraibili.

Rimane tuttavia un problema di certificazione per il cliente, dal momento che la farmacia non può certo utilizzare il comparto “dispositivi medici” e relativa dicitura di conformità CEE o comunque prendersi la responsabilità di una interpretazione come quella proposta. Peraltro, i programmi  gestionali non sono in grado attualmente di gestire casistiche così originali con diciture specifiche. Sarà eventualmente quindi il cliente che autonomamente deciderà se inserirle o meno nella propria dichiarazione. Si è comunque indubbiamente privi  di una soluzione sicura e si spera pertanto che l’ amministrazione finanziaria si pronunci in maniera meno vincolante e formalistica rispetto alle circolari del 2011 e 2015.

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