Avv. Marco Ottino – Avv. Stefano Simonetta – VACCINAZIONE OBBLIGATORIA DEL FARMACISTA. IL QUADRO NORMATIVO E LE CONSEGUENZE IN CASO DI INOTTEMPERANZA.
Il Decreto Legge n. 44/2021, in vigore dal 1° aprile 2021, ha introdotto nuove misure per il contenimento del contagio da COVID-19, tra cui l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.
L’art. 4 comma 1 del citato decreto prevede l’obbligo di sottoporsi a vaccinazione gratuita per “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”. La vaccinazione è inoltre definita come “requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”.
Al fine di assicurare l’assolvimento di tale obbligo, al medesimo art. 4 del citato decreto sono previste una dettagliata procedura operativa e le misure in caso di inottemperanza.
Segnatamente, ai commi 3 e ss. si legge che:
- entro 5 giorni dall’entrata in vigore del DL (termine ad oggi ampiamente scaduto), l’Ordine Professionale e i datori di lavoro sono tenuti a trasmettere alla Regione i nominativi, rispettivamente, degli iscritti e dei dipendenti;
- entro 10 giorni dalla ricezione degli elenchi di cui al punto precedente (termine anch’esso ad oggi scaduto), la Regione verifica lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti e segnala alla ASL di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati;
- l’ASL procede, quindi, con invito formale a coloro che non risultano vaccinati a inoltrare entro 5 giorni la documentazione comprovante l’avvenuta vaccinazione, ovvero la documentazione attestante il differimento, la richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale (accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale);
- in difetto di ricevimento della documentazione idonea, l’ASL dispone l’invito formale a sottoporsi a vaccinazione, indicando modalità e termini;
- decorsi i termini, in difetto di adempimento, l’ASL accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, all’Ordine e al datore di lavoro.
Il comma 6 del citato art. 4 precisa che l’adozione dell’atto di accertamento da parte della ASL determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportamenti che, in qualsiasi altra forma, determinino il rischio di diffusione del contagio.
Contestualizzando la procedura e gli adempimenti previsti dalla norma di legge, è necessario effettuare alcuni distinguo a seconda del ruolo ricoperto all’interno della farmacia dal soggetto di cui viene accertata l’inosservanza dell’obbligo vaccinale.
Nel caso in cui l’interessato sia un soggetto collaboratore della farmacia, il datore di lavoro, non appena ricevuta la comunicazione di sospensione dell’ASL, deve attivarsi per adibire il soggetto a mansioni, anche inferiori, che non implichino contatti interpersonali o comunque che non comportino rischi di diffusione del contagio. Nel caso in cui non vi siano mansioni compatibili, il titolare può sospendere direttamente dal servizio il collaboratore sino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale e comunque non oltre il 31/12/2021.
In caso di sospensione totale dal servizio, si precisa, non è dovuta retribuzione e si può assumere un farmacista vaccinato in sostituzione del dipendente sospeso.
Nel caso in cui il soggetto interessato dal provvedimento di sospensione a seguito di inosservanza dell’obbligo vaccinale sia invece lo stesso titolare di farmacia, ovvero il direttore, il quadro si complica ed è meno agevole definire i riflessi pratici.
Secondo il dettato normativo, la procedura è invariata e non contempla eccezioni per il caso di specie. Pertanto, anche il titolare di farmacia inottemperante è esposto al rischio di sospensione e, in caso di accertamento, è tenuto a sospendere le mansioni a contatto col pubblico (o comunque che possano comportare rischi di diffusione del contagio). Tuttavia, le conseguenze della sospensione possono essere alquanto diverse a seconda dei casi: va da sé che, nell’ipotesi di farmacia condotta e gestita esclusivamente dal titolare, la sospensione coinciderà con la chiusura dell’esercizio, mentre nel caso in cui il titolare (non direttore) non sia direttamente impegnato nella conduzione della farmacia, la sospensione non avrà, di fatto, conseguenze alcune.
In merito, poi, alla posizione del direttore di farmacia, è necessario domandarsi se la sospensione sia pienamente compatibile con gli obblighi e i doveri che legalmente e deontologicamente definiscono tale figura. In linea puramente astratta può sembrare configurabile la possibilità che il direttore di farmacia non vaccinato possa svolgere le sue mansioni senza contatti interpersonali; tuttavia, in concreto, il rispetto dell’assoluta necessità di astenersi dai prefati contatti (o comunque da comportamenti che possano comportare rischi di diffusione del contagio) pare richiedere uno sforzo organizzativo e comportamentale non comune e di difficile messa in pratica.
La generica (e forse imprecisa) definizione normativa dell’oggetto della sospensione potrebbe stimolare un intervento interpretativo della FOFI, forse utile a fornire indicazioni unitarie per la gestione dei provvedimenti che i singoli Ordini saranno chiamati ad emettere.
L’unica deroga generale contenuta nel Decreto Legge, applicabile a tutte le categorie di soggetti interessati, è quella prevista per il caso in cui la vaccinazione sia omessa o differita per accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale (art. 4, comma 2, DL citato).
In tale circostanza, la vaccinazione non è obbligatoria e, pertanto:
- il datore di lavoro è invitato ad adibire i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione;
- nell’esercizio dell’attività libero-professionale, i soggetti non vaccinati di cui al comma 2 dovranno adottare le misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate dallo specifico protocollo di sicurezza.
Ciò significa che il collaboratore non vaccinato per motivi di salute, ove non possa essere adibito a mansioni che non implichino il contatto interpersonale, non potrà comunque essere sospeso e manterrà il proprio trattamento retributivo, fatto salvo il dovere di rispettare le misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate nel richiamato protocollo di sicurezza.
Inoltre, come sostenuto dalla stessa Federfarma, seguendo l’argomentare di cui sopra, il titolare di farmacia esente dall’obbligo di vaccinazione potrà proseguire l’attività, adottando le misure indicate nel protocollo di sicurezza.
Al netto delle considerazioni sin qui svolte, merita un approfondimento l’argomento, oggi sulla bocca di molti, secondo cui l’introduzione normativa dell’obbligo vaccinale de quo, il cui mancato rispetto produce – come visto – una compressione della libertà di autodeterminazione, possa essere considerato contrario ai superiori principi di diritto posti a fondamento del nostro ordinamento giuridico, nazionale ed europeo.
Un primo, quanto significativo, indice di legittimità si evince da un recentissimo contributo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di vaccinazione obbligatoria, che, con la sentenza n. 116/2021 del 8 aprile 2021, ha fissato i criteri ai quali i legislatori nazionali devono conformarsi per rispettare il principio di non ingerenza nella vita privata ex art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), riconoscendo l’obbligo vaccinale come “necessario in una società democratica”.
Il secondo paragrafo dell’art. 8 CEDU precisa che non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio dei diritti al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza “a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
La Corte, nell’interpretare detto articolo in relazione alla legittimità di un obbligo vaccinale che, se non adempiuto, comporti limitazioni alla libertà di autodeterminazione, statuisce che l’ingerenza nella vita privata del singolo causata da una norma che impone detto obbligo è consentita quando sussistono le seguenti condizioni:
- previsione di legge;
- obiettivi di protezione della salute e dei diritti e libertà altrui;
- necessità di tale opzione in una società democratica.
La Corte ha, in particolare, ritenuto legittimo l’obbligo vaccinale laddove:
- risponda a un urgente bisogno sociale;
- l’efficacia e la sicurezza della vaccinazione sia riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale;
- sia prevista l’esenzione da tale obbligo per i soggetti con controindicazioni permanenti;
- sia esclusa l’ipotesi di somministrazione forzata (pur ammettendo, in caso di mancato ottemperamento, l’applicazione di sanzioni che limitino significativamente la libertà di autodeterminazione);
- sia garantita la presenza nell’ordinamento giuridico di un sistema di impugnazioni.
I criteri e le considerazioni dei Giudici di Strasburgo paiono sussistere tutti nel caso disciplinato dal DL 44/2021, nonché particolarmente utili per orientare qualsivoglia valutazione di conformità e di adeguatezza degli obblighi vaccinali imposti dal nostro legislatore.