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VACCINAZIONE OBBLIGATORIA DEL FARMACISTA. LE CONSEGUENZE IN CASO DI INOTTEMPERANZA. AGGIORNAMENTO – Avv. Marco Ottino – Avv. Gabriella Tango – Avv. Stefano Simonetta – 

Come noto, il Decreto-Legge n. 44/2021, in vigore dal 1° aprile 2021, convertito con modificazioni dalla L. 28 maggio 2021, n. 76, ha introdotto nuove misure per il contenimento del contagio da COVID-19, tra cui l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.

I mesi successivi hanno visto, non senza alcune difficoltà, l’applicazione pratica dei dettami normativi e una progressiva evoluzione dello stesso quadro interpretativo, col contributo di differenti soggetti coinvolti nella procedura operativa prevista dal citato decreto.

Con particolare riferimento al contesto delle farmacie che qui ci impegna, è pertanto opportuno offrire un aggiornamento dello stato dell’arte rispetto all’analisi effettuata a cura degli scriventi nel mese di aprile u.s. (v. articolo di Farmatutela del 13.5.2021).

Si riportano di seguito gli estratti utili del testo coordinato del DL 44/2001.

Il comma 1 dell’art. 4 del citato decreto sancisce che:

La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati.”

I successivi commi 6 e 8 specificano che:

6. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2

8. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”.

Con specifico riferimento ai farmacisti, ovverosia soggetti appartenenti ad un ordine professionale, l’inottemperanza dell’obbligo di vaccinazione pare configurare, pertanto, la mancanza di uno dei requisiti essenziali per lo svolgimento della professione – analogamente, a titolo di esempio, alla mancanza del titolo abilitativo – con conseguente impossibilità di proseguire nell’esercizio degli atti tipici della professione sanitaria stessa.

In questo quadro, nel caso in cui il soggetto inottemperante perseveri nello svolgimento dell’attività professionale in assenza di adempimento del prescritto obbligo vaccinale, le conseguenze potrebbero essere assai rilevanti e arrivare fino ad una contestazione per il reato di esercizio abusivo della professione, di cui all’art. 348 del Codice Penale, con imputazione in concorso per il soggetto (nel caso specifico  il titolare della farmacia) che determini (o assecondi volontariamente) il non vaccinato destinatario della sospensione a commettere l’esercizio abusivo. Tale prospettazione sembra, peraltro, accreditata dal Coordinatore Generale/Commissario per il piano vaccinale COVID-19 (già Pubblico Ministero di lunga esperienza) per la Regione Piemonte, come infra meglio specificato.

Vero è che il farmacista non vaccinato destinatario di provvedimento di sospensione potrebbe (in astratto) essere adibito ad altre mansioni (vedasi comma 6 e comma 8 del citato decreto), comunque non tipiche della professione, ma a specifiche condizioni che devono intendersi come necessarie.

In particolare, il comma 6 del citato art. 4 precisa, infatti, che tale eventualità è valutabile solamente quando il farmacista possa essere adibito a mansioni che non implichino contatti interpersonali e, in ogni caso, non determino rischio di diffusione del contagio.

Come può agevolmente desumersi da testo della norma, il divieto non si limita a prendere in considerazione mansioni che comportino contatti “con il pubblico”, bensì la più ampia categoria dei contatti “interpersonali” (quindi anche contatti con propri colleghi) e, comunque, si estende in tutti casi in cui le mansioni da svolgersi in concreto possano, in relazione all’organizzazione del lavoro o alla natura dei luoghi in cui l’attività professionale è svolta, determinare un rischio di diffusione del contagio.

Nel caso in cui non tali condizioni non siano soddisfatte, il farmacista non vaccinato dovrà, pertanto, essere sospeso dal servizio sino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale e comunque non oltre il 31/12/2021.

L’unica deroga contenuta nel Decreto Legge è quella prevista per il caso in cui la vaccinazione sia omessa o differita per accertato pericolo per la salute del soggetto non vaccinato, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate e attestate dal medico di medicina generale (art. 4, comma 2, DL citato).

Esclusivamente in tali circostanze, il farmacista non vaccinato, ove non possa essere adibito a mansioni che non implichino contatto interpersonale:

  • non potrà essere sospeso;
  • manterrà il proprio trattamento retributivo;
  • potrà esercitare tali mansioni, fatto salvo il dovere di rispettare le misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate nel protocollo di sicurezza.

Le conseguenze negative derivanti dall’inadempimento dell’obbligo vaccinale, dunque, sono scongiurate in caso di accertata impossibilità di sottoporsi al vaccino e, in ogni caso, temporalmente predeterminate.

Come detto poc’anzi, secondo questa linea interpretativa, nel caso in cui, invece, il soggetto inottemperante interessato da sospensione dovesse perseverare nello svolgimento dell’attività, le conseguenze potrebbero essere assai rilevanti e arrivare fino ad una contestazione per il reato di esercizio abusivo della professione, di cui all’art. 348 del Codice Penale.

Tale fattispecie di reato si realizza attraverso l’esercizio di un atto tipico riferibile alla professione in mancanza dei requisiti previsti dalla legge, ed è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.

Le attuali forbici edittali di pena detentiva e pecuniaria derivano dall’intervento del legislatore che, con l’art. 12, comma 1, L. 11.1.2018, n. 3, ha elevato significativamente il livello di tutela al bene protetto.

La stessa legge ha inoltre introdotto due commi ulteriori all’art. 348 c.p.

L’attuale secondo comma prevede la pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna, le sanzioni disciplinari e la confisca diretta delle cose che servirono e furono destinate a commettere il reato. Quanto alle sanzioni disciplinari, segnatamente, è stabilito che, laddove il soggetto attivo del reato sia un professionista o comunque un soggetto che esercita un’attività che comporta l’inserimento in un albo o in un registro, sia trasmessa la sentenza di condanna all’Ordine competente ai fini dell’applicazione della interdizione da uno a tre anni dalla professione regolarmente praticata.

Infine, il terzo comma dell’art. 348 c.p. sanziona il reato proprio commesso dal professionista che determina altri a commettere l’esercizio abusivo ovvero diriga l’attività delle persone che sono concorse nell’esercizio abusivo, con una pena da 1 a 5 anni di reclusione e da 15.000 a 75.000 euro di multa.

In questa sede preme evidenziare quanto segue.

Il rischio di incorrere nella violazione del disposto dell’art. 348 c.p.p grava in primis –  come intuibile – sul farmacista interessato da provvedimento di sospensione che prosegue nell’esercizio della professione, con conseguenze sanzionatorie importanti; la rilevanza penale può tuttavia estendersi altresì verso il soggetto professionista (quindi, nel caso di specie, altro farmacista) che, col proprio comportamento può aver determinato il farmacista stesso ad esercitare abusivamente la professione, ovvero diretto l’attività di chi sia incorso nel reato di cui al primo comma.

Il terzo comma costituisce infatti una fattispecie aggravata – non applicabile a titolo di concorso – per la quale, come visto, è prevista una severa risposta sanzionatoria.

Due ulteriori precisazioni.

L’inserimento a pieno titolo dell’obbligo vaccinale tra i requisiti essenziali della professione non può che riflettersi altresì a monte sul rapporto professionale, ovverosia in occasione di nuove assunzioni. La mancanza di tale requisito può quindi tradursi in una situazione di inidoneità, con conseguente impossibilità di completare la procedura di iscrizione all’albo professionale.

La situazione di inidoneità sin qui descritta – che sia originaria come da punto che precede, ovvero sopraggiunta a seguito di provvedimento sospensivo dell’ASL – resta, in ogni caso e per definizione, temporanea e sanabile (al pari di una situazione di rimansionamento del dipendente non farmacista): ne deriva che, qualora il soggetto interessato proceda con la vaccinazione osservando l’obbligo, la revoca della sospensione notificata dall’Ordine, previo accertamento dell’ASL, avrebbe effetti immediati, con piena riespansione del diritto di riprendere l’esercizio della professione.

Infine, si rappresenta che la posizione interpretativa sopra tracciata, incentrata sulla rilevanza della vaccinazione come requisito essenziale, è stata affrontata in diversi contesti, nonché concretamente recepita da alcune Autorità attive nel contesto di emergenza pandemica; tra le posizioni più nette, si segnala, in particolare, quella del Coordinatore Generale/Commissario per il piano vaccinale COVID-19 (già Pubblico Ministero di lunga esperienza) per la Regione Piemonte che, tramite una circolare destinata agli ordini professionali della Regione, ha fornito precise indicazioni circa la sospensione piena e incondizionata dall’albo come conseguenza del mancato ottemperamento da parte del professionista dell’obbligo vaccinale, nonché della concreta riconducibilità nell’alveo della fattispecie di reato ex art. 348 c.p. della condotta del professionista sospeso che non interrompe la sua attività.

Per completezza, si segnala che il TAR Friuli-Venezia Giulia, in occasione di una recentissima pronuncia (sentenza 261/2021) si è espresso – obiter dictum – a favore di un’interpretazione in parziale contrasto.

In attesa di ulteriori pronunce e di un’auspicata presa di posizione del Consiglio di Stato, la linea interpretativa più prudente e che esprime maggiore coerenza con la ratio della disposizione normativa e con il suo tenore letterale sembra in ogni caso essere quella sopra tratteggiata. Si ricorda, infatti, che l’eventualità di essere sottoposti a procedimento penale per un reato così grave, quale il 348 c.p., oltre a generare costi certi (l’esigenza, ad esempio, di pagare la difesa tecnica), comporta inevitabili impatti emotivi sull’indagato, già di per sé sufficienti a suggerire, almeno in questa fase, atteggiamenti prudenziali.

Quanto alla natura del provvedimento di sospensione e ai riflessi in ambito prettamente giuslavoristico, si ritiene inoltre utile fornire alcuni chiarimenti.

In primo luogo, è bene rilevare che non si verte in materia di sospensione da parte del Consiglio dell’Ordine Ordine di appartenenza, il provvedimento non è infatti adottato a seguito di procedura disciplinare. Non si tratta nemmeno della sospensione prevista e regolata dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, non essendo connessa alla violazione di un obbligo in grado di incidere sul rapporto di fiducia e non essendo disposta dal datore di lavoro, né è assimilabile alle sospensioni del rapporto portate dalla malattia e dalla gravidanza , nelle quali oltre alla tutela del posto di lavoro è previsto il riconoscimento della retribuzione.

La sospensione di cui all’art. 4 D.L. 44/21, conseguente al provvedimento della  ASL, ha caratteristiche peculiari privando ope legis, temporaneamente, il professionista del requisito per poter esercitare la sua professione. Il provvedimento diviene dunque efficace al momento della comunicazione da parte della ASL al datore di lavoro, all’Ordine di appartenenza ed all’interessato, ed è automatico: non implica alcuna rivalutazione o decisione da parte del datore di lavoro, il quale è unicamente tenuto a dar corso al provvedimento e ad uniformarsi ai conseguenti oneri.

Dallo stesso giorno della notifica, come detto, il destinatario dell’accertamento dovrà essere considerato impossibilitato a svolgere prestazioni al banco o mansioni che implichino contatti con i clienti o con i colleghi e conseguentemente allontanato dal servizio. Si deve  in proposito evidenziare che eventuali eventi occorsi fra la data ( e l’ora) di notifica e l’allontanamento del lavoratore dal servizio (si pensi ad eventuali contagi, infortuni, etc) dovranno considerarsi direttamente connessi alla diretta responsabilità del Titolare, inadempiente agli obblighi di legge.

Dopo l’allontanamento dal servizio del collaboratore, il datore di lavoro dovrà procedere ad una tempestiva rivalutazione del proprio organico e dell’assetto organizzativo della Farmacia, per verificare la sussistenza di mansioni, anche inferiori, che non comportino contatto interpersonale o possano comportare rischi da contagio (con le dovute precisazioni di cui sopra, cui si rinvia).

Svolta tale verifica, in difetto del contesto sopra descritto, il Farmacista non potrà che procedere al conseguente inevitabile sollevamento da ogni mansione, al divieto di fatto di prestare servizio nei locali della farmacia e all’allontanamento dai luoghi di esercizio della Farmacia, salvo il caso in cui la risorsa versi in stato di sospensione dal lavoro per malattia, infortunio, gravidanza.

Ci si è posti il problema se il farmacista destinatario di provvedimento di sospensione che operi in smart working possa proseguire le attività. Ferma restando l’impossibilità di svolgere attività protetta tipica della professione, si ritiene che eventuali collaboratori assegnati a mere attività amministrative da remoto (a titolo di esempio, tariffazione delle ricette) possano continuare ad operare, sempre che la loro operatività rimanga nei limiti di sicurezza posti dalla legge.

 

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