OGGETTO: DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020 , n. 18 – EVENTUALI PROFILI SANZIONATORI E PENALI ASCRIVIBILI AL FARMACISTA – Avv. Marco Ottino
Acquisto di mascherine protettive in regime di deroga ex artt. 15 e 16 del Decreto Cura Italia – Vademecum per il Farmacista: come evitare sanzioni e pregiudizi
Il Decreto-Legge del 17 marzo 2020, n. 18 (Cura Italia), avente ad oggetto misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, prevede, all’art. 15, alcune disposizioni straordinarie per la produzione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale.
Tale norma specifica, introdotta per la gestione dell’emergenza e per garantire una pronta reperibilità di tali presidi sul mercato nazionale, sancisce:
“1. Fermo quanto previsto dall’articolo 34 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, per la gestione dell’emergenza COVID-19, e fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, è consentito produrre, importare e immettere in commercio mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale in deroga alle vigenti disposizioni.
- I produttori e gli importatori delle mascherine chirurgiche di cui al comma 1, e coloro che li immettono in commercio i quali intendono avvalersi della deroga ivi prevista, inviano all’Istituto superiore di sanità una autocertificazione nella quale, sotto la propria esclusiva responsabilità, attestano le caratteristiche tecniche delle mascherine e dichiarano che le stesse rispettano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa. Entro e non oltre 3 giorni dalla citata autocertificazione le aziende produttrici e gli importatori devono altresì trasmettere all’Istituto superiore di sanità ogni elemento utile alla validazione delle mascherine chirurgiche oggetto della stessa. L’Istituto superiore di sanità, nel termine di 3 giorni dalla ricezione di quanto indicato nel presente comma, si pronuncia circa la rispondenza delle mascherine chirurgiche alle norme vigenti.
- I produttori, gli importatori dei dispositivi di protezione individuale di cui al comma 1 e coloro che li immettono in commercio, i quali intendono avvalersi della deroga ivi prevista, inviano all’INAIL una autocertificazione nella quale, sotto la propria esclusiva responsabilità, attestano le caratteristiche tecniche dei citati dispositivi e dichiarano che gli stessi rispettano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa. Entro e non oltre 3 giorni dalla citata autocertificazione le aziende produttrici e gli importatori devono altresì trasmettere all’INAIL ogni elemento utile alla validazione dei dispositivi di protezione individuale oggetto della stessa. L’INAIL, nel termine di 3 giorni dalla ricezione di quanto indicato nel presente comma, si pronuncia circa la rispondenza dei dispositivi di protezione individuale alle norme vigenti.
- Qualora all’esito della valutazione di cui ai commi 2 e 3 i prodotti risultino non conformi alle vigenti norme, impregiudicata l’applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione, il produttore ne cessa immediatamente la produzione e all’importatore è fatto divieto di immissione in commercio.”
A fronte di tale previsione normativa, sono stati pubblicati due documenti esplicativi di interesse: la Circolare Ministeriale del Dicastero della Salute del 18/03/2020 e la Nota esplicativa dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), avente ad oggetto la procedura di produzione in deroga di maschere facciali ad uso medico, reperibile sul sito ufficiale del predetto Istituto, che chiariscono importanti aspetti della normativa emergenziale.
La Circolare Ministeriale precisa, tra le altre questioni, quali siano i soggetti destinatari dell’autocertificazione, ed ovvero l’ISS per le sole mascherine chirurgiche ad uso sanitario e l’INAIL per quelle utilizzate come dispositivi di protezione individuale (DPI). Inoltre, la Circolare specifica un’importante questione che riguarda l’art. 16 del citato Decreto:
- le mascherine ad uso sanitario e quelle date in dotazione ai lavoratori (che assumono la natura di DPI), se prodotte o commercializzate in deroga alle disposizioni, vigenti devono essere autorizzate ex art. 15, commi 2 e 3;
- le mascherine vendute agli individui presenti sul territorio nazionale e da questi utilizzate esclusivamente a scopo precauzionale non necessitano, di contro, della procedura di autorizzazione ex art. 15, ma semplicemente di un’autocertificazione dei produttori che garantiscano che le stesse non arrechino danni o determinino rischi aggiuntivi per gli utilizzatori, secondo la destinazione d’uso prevista dai produttori.
In merito al punto due, si riporta il testo del comma secondo del citato Decreto, che sancisce:
“Ai fini del comma I. fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, gli individui presenti sull’intero territorio nazionale sono autorizzati ali ‘utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio”.
“La disposizione in parola – afferma il Ministero – consente a tutti gli individui presenti sul territorio nazionale, a cui è comunque richiesto di rispettare le disposizioni in tema di distanziamento sociale e le altre regole precauzionali introdotte in ragione dell’emergenza Covid-19 di utilizzare, a scopo precauzionale, mascherine filtranti che per la loro destinazione non si configurano né come DM né come DPI.
Resta inteso che tali mascherine non possono essere utilizzate durante il servizio dagli operatori sanitari né dagli altri lavoratori per i quali è prescritto l’uso di specifici dispositivi di sicurezza.
Sempre in relazione a detta fattispecie, si rammenta l’assoluta necessità che i produttori delle mascherine da ultimo citate garantiscano che le stesse non arrechino danni o determinino rischi aggiuntivi per gli utilizzatori secondo la destinazione d’uso prevista dai produttori. A tali prodotti non si applicano le procedure valutative di cui all’art. 15 del D.L. 17 marzo 2020, n.18.”
La nota dell’ISS chiarisce, poi, come la semplice trasmissione dell’autocertificazione da parte dei produttori, degli importatori e di coloro che immettono in commercio i dispositivi (infra anche Proponenti) ne autorizzati immediatamente la produzione e l’immissione in commercio, in deroga alle vigenti disposizioni. Tale autorizzazione temporanea rimane in vigore sino a quando i Proponenti stessi non ricevano la notifica di parere favorevole, o non, da parte dell’Istituto stesso. Solo in caso di notifica di parere non favorevole, e senza che possa invocarsi una sorta silenzio dissenso trascorsi i termini previsti dalla norma in esame, i Proponenti dovranno cessare la produzione e la commercializzazione, ritirando i prodotti sul mercato. Ed invero, a conferma dell’assunto, si riporta il testo della nota dell’ISS:
“Come previsto dall’Articolo 15, comma 2, l’azienda può inoltrare all’Istituto entro tre giorni dall’invio della autocertificazione, ogni elemento utile che consenta all’Istituto di valutare la rispondenza dei prodotti alle norme vigenti. Al ricevimento della precedente documentazione, l’Istituto avrà a disposizione tre giorni per la valutazione della stessa ed emetterà un parere (favorevole o non favorevole). Qualora il Proponente non avesse a disposizione le prove a supporto di quanto dichiarato, entro tre giorni dalla presentazione dell’autocertificazione, l’Istituto fornirà comunque una dichiarazione di rispondenza del prodotto alla normativa tecnica applicabile, sulla base dell’autocertificazione presentata dal Proponente stesso. Il Proponente potrà procedere alla produzione e/o commercializzazione del prodotto con l’assunzione di unilaterale responsabilità. Il Proponente inoltre nell’autocertificazione è tenuto a dichiarare l’impegno ad inviare, non appena ne verrà in possesso, tutta la documentazione di prova a supporto dei requisiti dichiarati all’Istituto Superiore di Sanità che li valuterà ed emetterà un parere definitivo (favorevole o non favorevole). Procedura di produzione in deroga di maschere facciali ad uso medico (Art. 15 del Decreto Legge del 17 marzo 2020 n.18). In caso di parere non favorevole, il Proponente dovrà provvedere ad interrompere immediatamente la produzione e/o commercializzazione e a ritirare i prodotti dal mercato. L’Istituto Superiore di Sanità, a fronte del parere NON favorevole, provvederà alla revoca dell’attestazione precedentemente emessa.”
Profili di criticità in merito alla professione del Farmacista.
Sebbene il Farmacista non sia soggetto giuridico interessato alla produzione, all’importazione, o alla immissione in commercio di detti dispositivi, esso è uno dei soggetti che ne curano la distribuzione al dettaglio agli individui e, dunque, la Farmacia è oggi il luogo in cui si concentrano i controlli delle Autorità sul rispetto delle prescrizioni di cui alla procedura di autorizzazione in deroga (art. 15 e 16 cit. Decreto), poiché è il luogo fisico in cui la merce è reperibile e da cui è agevole dar corso alle prime verifiche utili per risalire la filiera.
Si registra, purtroppo, la tendenza da parte delle Autorità predisposte al controllo, con particolare riferimento alla Guardia di Finanza, a pretendere la tenuta di comportamenti da parte del Farmacista che, invero, non gli sono richiesti dalla normativa attualmente vigente. Gli Organi Accertatori, in particolare, propongono la tesi secondo la quale la procedura di cui all’art. 15 debba essere fatta anche dal Farmacista, assumendo che lo stesso rientri tra i soggetti che immettono in commercio tali dispositivi.
Tale interpretazione, a parere del sottoscritto, è giuridicamente priva di fondamento, ed invero basta ripercorrere la normativa e la giurisprudenza in materia per evidenziare quanto segue.
La definizione di “immissione in commercio” è espressamente richiamata dalla normativa europea e nazionale. In particolare, il Regolamento (Ue) 2017/745 Del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 aprile 2017 relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002 e il regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio, specifica al comma 28 dell’art. 2 “Definizioni” che “l’immissione sul mercato” (ovvero in commercio), “consiste nella prima messa a disposizione di un dispositivo, … sul mercato dell’Unione”. Tale atto, nulla ha a che vedere con la “messa a disposizione sul mercato”, ovvero “la fornitura di un dispositivo…, per la distribuzione, il consumo o l’uso sul mercato dell’Unione nel corso di un’attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito”, che coincide con la distribuzione al dettaglio del dispositivo, propria dell’attività del Farmacista.
Tali definizioni, già esplicitate dalla pregressa e risalente normativa comunitaria, trovano piena conferma nella normativa italiana, ed in particolare del Decreto Legislativo del 24/02/1997 – n. 46, che all’Art. 1) “Definizioni”, lettera h) definisce quale “immissione in commercio: la prima messa a disposizione a titolo oneroso o gratuito di dispositivi, esclusi quelli destinati alle indagini cliniche, in vista della distribuzione o utilizzazione sul mercato comunitario, indipendentemente dal fatto che si tratti di dispositivi nuovi o rimessi a nuovo”.
Non vi è chi non veda come tale definizione non sia conferente all’attività di distribuzione al dettaglio condotta dal Farmacista, ma unicamente a coloro, che per primi, introducono i dispositivi sul territorio nazionale (e comunitario) e non certo a coloro che comprano tali manufatti da soggetti che li hanno, a diverso titolo, già introdotti sul mercato, rectius in commercio.
Accorgimenti che il Farmacista deve tenere per evitare di incorrere in sanzioni.
A giudizio del sottoscritto, il Farmacista dovrà assicurarsi di richiedere al fornitore, prima di dar corso alla compravendita di mascherine prodotte in deroga alla normativa vigente, la seguente documentazione:
- nel caso di mascherine destinate ad uso non qualificato, la documentazione che attesti che a norma dell’art. 16 comma 2 del citato Decreto che “le stesse non arrechino danni o determinino rischi aggiuntivi per gli utilizzatori secondo la destinazione d’uso prevista dai produttori” (vedasi la citata Circolare Ministeriale)
- nel caso di mascherine ad uso sanitario o idonee ad essere date in dotazione ai lavoratori (che assumono la natura di DPI), copia dell’avvenuto invio dell’autocertificazione ex art. 15 commi 2 (ISS) e 3 (INAIL) ai preposti enti, volta ad ottenere l’autorizzazione temporanea. Rimane inteso che, svolto tale adempimento, rimarrà a carico del fornitore informare il Farmacista acquirente di eventuale parere non favorevole degli organi a ciò preposti, con conseguente obbligo di ritiro dal mercato delle mascherine non conformi e rimborso del prezzo corrisposto.
Si ricorda, infatti, che laddove il produttore, l’importatore o colui che ha immesso in commercio tali prodotti secondo le modalità di cui al disposto del primo comma dell’art. 15 del citato Decreto e non abbia effettuato correttamente tale adempimento, la commercializzazione delle mascherine è certamente illegittima e, dunque, queste possono essere oggetto di sequestro amministrativo e successiva, probabile, confisca.
Inoltre, tale semplice adempimento mette il Farmacista al riparo da un ulteriore possibile pregiudizio: la contestazione da parte dell’Autorità Giudiziaria penale del reato di cui all’art. 712 c.p.
L’Art. 712 del Codice Penale – Acquisto di cose di sospetta provenienza – punisce chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda non inferiore a 10 euro.
Nel caso specifico, il reato presupposto sarebbe da individuarsi nell’art. 515 c.p., frode nell’esercizio del commercio, che potrebbe essere contestato al produttore, all’importatore o a colui che immette in commercio le mascherine senza rispettare le dovute procedure previste.
In presenza del reato presupposto, l’elemento materiale del reato di cui all’art. 712 c.p. consisterebbe nell’avere omesso di compiere i dovuti accertamenti circa la provenienza illecita delle mascherine, pur in presenza di tassativi indici di sospetto, consistenti in (i) qualità o (ii) condizione di chi le offre, o (iii) entità del prezzo.
Bene è evidenziare come, per giurisprudenza consolidata, non è necessario che l’acquirente abbia effettivamente nutrito dubbi sulla provenienza della merce, dovendo, invece, ritenersi sussistente il reato, ogni qualvolta l’acquisto avvenga in presenza di condizioni che obiettivamente avrebbero dovuto indurre al sospetto, indipendentemente dal fatto che questo vi sia stato o meno (Cass. II, n. 43929/2015).
In buona sostanza, a titolo esemplificativo, acquistare mascherine da un soggetto economico che le abbia introdotte in commercio e sino al giorno prima vendeva tutt’altro, senza accertarsi che abbia rispettato le procedure, potrebbe integrare tale fattispecie di reato. Infatti, come anche rimarcato da costante giurisprudenza, il reato di incauto acquisto si compendia in un comportamento colposo, che sta a monte dello stesso acquisto.
Vero è, in ogni caso, che la Pubblica Accusa avrà l’onere di dimostrare che nel caso concreto sussisteva, oltre ogni ragionevole dubbio, almeno uno dei tassativi indici di sospetto previsti dalla norma.
Ciò premesso, non vi è motivo per non adottare un comportamento prudente che garantisca di evitare, con semplici precauzioni in fase di acquisto delle mascherine, consistenti nella richiesta di invio da parte del fornitore della documentazione sopra meglio citata, gravi pregiudizi patrimoniali (sequestro della merce) e sanzioni penali.