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Ordinanza 9 aprile 2020 – Disposizioni urgenti per la vendita al dettaglio di dispositivi di protezione individuale da parte delle Farmacie. (GU Serie Generale n.96 del 10-04-2020) – Avv. Marco Ottino.

 

L’Ordinanza in oggetto detta disposizioni urgenti circa la vendita al dettaglio nelle farmacie di DPI, ed infatti precisa all’art. 1:

È consentita la vendita al dettaglio  di  DPI  da  parte  delle farmacie ubicate nell’intero territorio nazionale, anche in assenza degli imballaggi di riferimento, con le opportune cautele igieniche e sanitarie adottate a cura del venditore come descritte nel successivo art. 2.

La vendita al dettaglio anche di una sola unità di  DPI  senza imballaggi di riferimento deve prevedere un prezzo inferiore o pari all’importo previsto per la singola confezione diviso il  numero  dei DPI presenti nella medesima.”

La prima osservazione che va fatta, avente carattere generale sull’effettiva portata del provvedimento, è che lo stesso ha ad esclusivo oggetto i prodotti qualificati e/o qualificabili come DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). Tale scelta normativa appare peculiare, atteso che lo stesso provvedimento non trova applicazione nei confronti di tutti i prodotti utilizzati e utilizzabili ad uso medico e/o per contrastare la diffusione del virus COVID-19, quali ad esempio le mascherine ad uso chirurgico e/o a uso precauzionale[1]. Sarebbe, forse, stato opportuno prevedere un’applicazione della disciplina a tutti i presidi utilizzabili per contenere la diffusione del virus e non solo ad una parte di essi.

Inoltre, quasi certamente, tale peculiare (e ristretto) ambito di applicazione della disciplina in oggetto non verrà colto da coloro deputati ai controlli, che finiranno per applicare tout court tale disciplina a tutti i presidi commercializzati e/o commercializzabili a contenimento del virus, con insorgenza di un contenzioso che sarebbe stato, francamente, evitabile.

Ciò premesso, la norma, che prevede sanzioni penali in caso di accertata violazione (art. 650 c.p.), presenta ulteriori aspetti di forte criticità. In particolare, all’art. 2, commi 3 e 4, l’Ordinanza prevede:

“3. Per le vendite al dettaglio di cui alla presente  ordinanza,  le informazioni previste dal decreto legislativo 6  settembre  2005,  n. 206 e  dalla  normativa  di  settore  potranno  essere  fornite   al consumatore con modalità semplificate adottate a  cura  di  ciascuna farmacia, anche mediante apposizione su un apposito cartello  esposto nei comparti del locale di vendita.

  1. Ciascuna farmacia, per le  operazioni  di  cui  alla presente ordinanza, deve  provvedere  alla  conservazione  delle informazioni circa la confezione integra (denominazione, nome del produttore  e/o distributore, quantità, data di arrivo e, ove disponibile, numero di lotto)  e  dell’allestimento  (numero  confezioni  e  numero  di  DPI inserite in ciascuna di esse).”

La norma in oggetto non tiene conto di un aspetto essenziale, ed ovvero che il mercato è – legittimamente – invaso da DPI prodotti e commercializzati a norma dell’art. 15 del D.L. n. 18 del 17/03/2020 in deroga alle “disposizioni vigenti”, tra le quali, dunque, deve asseverarsi anche il citato Codice del Consumo (D.L. 206 del 06/09/2005). Alla luce di tale considerazione, come si può imporre al farmacista di fornire ciò che, legittimamente, può non avere?

Se, infatti, il produttore, l’importatore, colui che immette per primo in commercio possono legittimamente cedere al farmacista DPI privi di marchio CE e di schede tecniche in lingua italiana, in deroga alle “disposizioni vigenti”, come può imporsi al farmacista di produrre al consumatore finale tali informazioni tecniche?

In caso di DPI ceduti in regime di deroga, come potrebbe il farmacista rispettare, ad esempio, integralmente il dettame dell’art. 6 del citato Codice del Consumo, implicitamente richiamato dal comma 3 dell’Ordinanza? Ed invero, il citato articolo prevede:

“I prodotti o le confezioni dei prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio nazionale, riportano, chiaramente visibili e leggibili, almeno le indicazioni relative:

  1. a) alla denominazione legale o merceologica del prodotto;
  2. b) al nome o ragione sociale o marchio e alla sede legale del produttore o di un importatore stabilito nell’Unione europea;
  3. c) al Paese di origine se situato fuori dell’Unione europea;
  4. d) all’eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all’uomo, alle cose o all’ambiente;
  5. e) ai materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto;
  6. f) alle istruzioni, alle eventuali precauzioni e alla destinazione d’uso, ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto.”

Se le informazioni di cui ai punti a), b), c) e f) nella pratica quotidiana sono (quasi) sempre presenti sui prodotti commercializzati in deroga, ciò non avviene per i punti d), e), di fatto (quasi) mai presenti sulle confezioni o, nella migliore delle ipotesi, ivi riportate esclusivamente in lingue straniere (inglese/cinese).

In buona sostanza, sol che il produttore e/o l’importatore e/o colui che immette in commercio i DPI esegua l’autocertificazione all’INAL ex art. 15 DL n. 18 del 17/03/2020, questi sono (fino a contrario parere del predetto ente) producibili, importabili e commerciabili sul territorio italiano derogando anche alle disposizioni che impongono la presenza di schede tecniche redatte in lingua italiana. Ciò premesso, come si può imporre contestualmente al farmacista di fornire tali informazioni al consumatore?

A parere del sottoscritto, dunque, l’unica interpretazione possibile dell’Ordinanza pare essere quella di interpretare il comma 3  dell’art. 2 congiuntamente con il successivo comma 4, ritenendo che quest’ultimo specifichi (e limiti) le informazioni richiamate dal comma precedente.

In buona sostanza, nel vendere al dettaglio DPI sciolti, il Farmacista, verificata la legittimità della commercializzazione in deroga dei DPI in suo possesso (autocertificazione all’INAIL), dovrà esporre in farmacia ciò che ha, ovvero la confezione e, solo se in suo possesso e in lingua italiana, anche le altre informazioni previste dalle lettere d) ed e).

Questa, francamente, mi pare l’unica interpretazione possibile di un’Ordinanza che non sembra raccordarsi, come dovrebbe, con le disposizioni di legge che la stessa richiama nelle sue premesse e, in particolare, con la disciplina derogatoria di cui all’art. 15 del DL n. 18 del 17/03/2020.

Certamente, non tutti gli organi deputati al controllo adotteranno tale interpretazione e alcuni di loro procederanno alla contestazione dell’art. 650 c.p. anche in circostanze che, ritengo, dovrebbero andare esenti da responsabilità. In tali casi sarà necessario, con elevata probabilità, affrontare un processo penale per far valere le proprie ragioni.

In ultimo, preme sottolineare che in tema di DPI il farmacista deve fare attenzione nel fissare il prezzo di vendita al pubblico della singola mascherina, avendo cura che questo sia  inferiore o pari all’importo del prezzo di vendita al pubblico previsto per la confezione, diviso per il  numero  dei DPI presenti nella medesima.

Laddove non venga rispettata la predetta proporzione, il farmacista risponderà del reato di cui all’art. 650 c.p., ed ovvero: “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato [337338389509], con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro.”

[1] Circolare del Ministero della Salute del 18/03/2020 e relativa al DL 18 del 17/03/2020.

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