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CORTE COSTITUZIONALE: Non è censurabile per irragionevolezza la scelta legislativa di consentire soltanto alle farmacie – e non anche alle parafarmacie – di effettuare tamponi rapidi antigenici e test sierologici per il COVID-19 – Avv. Marco OTTINO –

Con la sentenza n. 171 del luglio 2022, la Corte Costituzionale ha stabilito che rientra nella legittima discrezionalità legislativa consentire esclusivamente alle farmacie, e non anche alle parafarmacie, l’effettuazione dei tamponi rapidi antigenici e test sierologici per il COVID-19.

La Corte Costituzionale ha argomentato tale decisione assumendo che fra le farmacie e le parafarmacie esistono significative differenze (anche giuridiche), tali da garantire la legittima adozione di trattamenti normativi differenti. Ciò, va precisato, non ritenendo la Corte di dare particolare rilevanza alla circostanza che i sostenitori della tesi opposta invocavano a gran voce come dirimente, consistente proprio nella presenza obbligatoria di farmacisti abilitati anche presso le parafarmacie.

La Corte era stata investita della questione dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, il quale aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale in merito all’art. 1, commi 418 e 419, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione.

Le disposizioni censurate – nella parte in cui consentono alle sole farmacie, e non anche alle cosiddette parafarmacie, l’effettuazione dei test mirati a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM e dei tamponi antigenici rapidi per la rilevazione di antigene SARS-CoV-2 – determinerebbero, secondo i titolari di parafarmacia, un’irragionevole disparità di trattamento tra farmacie e parafarmacie, limitando, senza un giustificato motivo, la libertà di iniziativa economica delle seconde.

Tuttavia, sembrano dimenticare i fautori di tale tesi, è solo attraverso le farmacie pubbliche e private convenzionate che il servizio sanitario nazionale, proprio secondo quanto previsto dagli artt. 25 e 28 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), erogherebbe prevalentemente l’assistenza farmaceutica, che è volta ad assicurare in concreto la tutela del diritto costituzionale alla salute e che, non a caso, è inserita tra i livelli essenziali di assistenza (LEA) disciplinati dal D.P.C.M. 12 gennaio 2017.

D’altra parte, la stessa giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che la “rete capillare delle farmacie” svolge un “servizio di pubblico interesse”, preordinato a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute.

Proprio tale posizione pare condivisa tanto dal Consiglio di Stato – ordinanza dell’adunanza plenaria, 30 marzo 2000, n. 1; parere della Commissione Speciale 3 gennaio 2018, n. 69 – quanto dalla Corte di Giustizia Europea – sentenza Venturini e sentenza Blanco Pérez e Chao Gómez.

Proprio queste argomentazioni sembrano riconoscere solo farmacia (è non anche alla parafarmacia) quel ruolo essenziale di presidio di prossimità del Servizio Sanitario Nazionale.

Non si dimentichi, inoltre, che al fine di valorizzare il ruolo delle farmacie all’interno del SSN, il decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153 ha definito nuovi compiti e funzioni assistenziali delle farmacie, tra i quali l’erogazione di servizi di primo e di secondo livello, così ampliando in maniera significativa l’attività svolta dalle farmacie, che non è più ristretta alla distribuzione di farmaci o di prodotti sanitari, ma si estende anche alla prestazione di servizi alla persona. Anche tale provvedimento è da intendersi destinato esclusivamente alle farmacie, nel rispetto dei pilastri della capillarità e peculiare affidabilità che le stesse sono in grado di offrire.

Accogliendo tali prospettazioni, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il quadro normativo impedisca di affermare che si sia dinanzi ad una identità di situazioni giuridiche tra farmacie e parafarmacia, rispetto alla quale l’esclusione delle parafarmacia dall’esecuzione di tali servizi determini una disparità di trattamento normativo rilevante agli effetti dell’art. 3 della Costituzione; nemmeno l’esistenza di elementi comuni a farmacie e parafarmacie (nel caso di specie, la presenza di farmacisti abilitati presso entrambe) è tale – secondo la Corte – da mettere in dubbio “che fra i due esercizi permangano una serie di significative differenze, tali da rendere la scelta del legislatore non censurabile in termini di ragionevolezza e di violazione del principio di uguaglianza”.

Dalla lettura del corpo della sentenza, emerge in modo chiaro come la Corte abbia ritenuto che le parafarmacie siano esercizi commerciali che possono effettuare (esclusivamente) attività di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, sempre che la vendita sia effettuata con l’assistenza personale e diretta al cliente di uno o più farmacisti abilitati all’esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine.

Le farmacie, invece, erogano l’assistenza farmaceutica e svolgono, dunque, un servizio di pubblico interesse – ben più ampio di quello offerto dalle parafarmacie – costituzionalmente riconosciuto e  preordinato al fine di garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute. Argomenta la Corte: “il legislatore si è affidato a soggetti, presenti e ordinatamente dislocati sull’intero territorio nazionale in ragione delle esigenze della popolazione, che già fanno parte del servizio sanitario nazionale e che, in tale veste, sono stati chiamati a erogare servizi a forte valenza socio-sanitaria”; questo “infatti, ha, nella sua discrezionalità, valutato maggiormente rispondente alla tutela della salute, da un lato, che tali test siano effettuati sì in un numero inferiore di luoghi, ma distribuiti sul territorio nazionale secondo logiche non meramente commerciali”.

Ed ancora, la Corte ritiene assolutamente corretto che il legislatore abbia scelto di limitare l’erogazione del servizio esclusivamente a soggetti che possano offrire “un livello di “certificazione” riferibile a un soggetto già inserito nel sistema e che riveste – come si è ricordato – la qualifica di concessionario di un pubblico servizio”.

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte ha ritenuto che “la scelta di consentire soltanto alle farmacie, e non anche alle parafarmacie, l’effettuazione dei test previsti dalle norme impugnate, a fronte della diversa natura dei due soggetti giuridici e del differente regime giuridico che li caratterizza, rientri nella sfera della discrezionalità legislativa e non sia censurabile per irragionevolezza. Tale scelta si fonda, essenzialmente, sull’inserimento delle farmacie nell’organizzazione del servizio sanitario nazionale, che già consente loro di condividere con le autorità sanitarie procedure amministrative finalizzate a fronteggiare situazioni ordinarie ed emergenziali, anche mediante il trattamento di dati sensibili in condizioni di sicurezza”.

Trattasi, questo, di un principio generale che potrà trovare applicazione in ogni fattispecie similare rispetto a quella qui trattata e che abbia a coinvolgere l’ormai ben definito rapporto tra farmacie, parafarmacie e SSN.

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